City Information Service | Direttore responsabile Piero Pianigiani

Martedì 10 Gennaio 2012 20:08

Giornalisti? «acrobati dell’informazione» In primo piano

(Marco Ratti) - Milano - I giornalisti di oggi sono «acrobati dell'informazione, costretti a fare moltissime cose in pochissimo tempo». E così questo mestiere sta subendo un «imbarbarimento» legato a una «crescente superficialità», attento sempre di più agli aspetti commerciali e al potere della pubblicità, con collaboratori esterni «che subiscono forti ricatti dagli editori». Nessuno si ricorda più che «il nostro dovrebbe essere un lavoro tutto al servizio della comunità». La critica arriva da Letizia Gonzales, presidente dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia, che ha commissionato un'indagine sull'etica del giornalismo in Italia ad AstraRicerche, presentata all'incontro «Il futuro del giornalismo – Etica e professione» all'Università degli Studi di Milano.

Da qualche anno l'Ordine di Milano decide di approfondire un tema commissionando una ricerca. Perchè questa volta la scelta è caduta sull'etica nel giornalismo? È una questione molto dibattuta ed è in corso un degrado nella professione che va di pari passo con l'aumentare della passione per un giornalismo spettacolare a tutti i costi. C'è troppa mania per l'informazione urlata e, quando dico questo, mi riferisco soprattutto alla carta stampata. Quali principi dovrebbero guidare un giornalista perché si possa definire "etico"? Prima di tutto ci vuole il rispetto della persona e questo influisce su tutta la sfera dell'informazione. Poi ci vuole il controllo delle fonti, mentre in questo periodo c'è molta superficialità. Ed è necessaria anche una conoscenza approfondita delle regole deontologiche e delle carte che regolano la professione. Seguire queste regole può bastare? No, i fattori sono tanti e, tra i primi, c'è anche il fatto che oggi i giornalisti devono fare moltissime cose in pochissimo tempo, sono degli acrobati dell'informazione. Dalla nostra indagine è emerso anche che il giornalismo si basa molto sui freelance e questi, secondo me, spesso sono vittime dell'arroganza di certi editori cui non riescono a dire "no" quando viene chiesto loro di portare notizie tutte "lacrime e sangue". Per esempio? In occasione delle ultime alluvioni sono usciti servizi sul Tg2 in cui veniva intervistato un minore che aveva perso la madre poche ore prima. Oltre all'errore della giornalista, è mancato anche tutto il controllo da parte della scala gerarchica del telegiornale. È una questione che riguarda tutta la rete organizzativa, carente quanto meno per leggerezza e superficialità. Quanto è diffuso il problema? Quasi la metà dei giornalisti interpellati nell'indagine dice che nella testata in cui lavora «sostanzialmente non si rispetta quasi nessun principio etico». Anche questo fa parte dell'imbarbarimento dell'informazione che dà troppa attenzione alla vendita e agli aspetti commerciali in generale, e non più al contenuto che dovrebbe essere utilizzato per aiutare la popolazione a crescere. In Lombardia, inoltre, ci sono molti magazine legati a settori "consumeristici" in cui i giornalisti sono molto condizionati dagli uffici marketing e quindi non si sentono per nulla etici. E non hanno neppure la forza di dire di "no" a queste pressioni perché il ricatto dell'editore è molto pesante. Come se ne esce, allora? È possibile tenere separati inserzionisti pubblicitari e informazione? Credo che il giornalista si può ribellare, ma spesso è complicato. Inoltre, i colleghi a volte non hanno vere tutele all'interno della redazione dalle intromissioni degli uffici marketing. E spesso c'è anche poca solidarietà all'interno delle testate. Per non parlare dei collaboratori esterni, che godono di tutele ancora minori. Il tipo di contratto con cui si lavora, in qualche modo, ha a che fare con l'etica della professione? Certo, la retribuzione fa parte della dignità della persona e il freelance deve essere rispettato come tutti i liberi professionisti, deve essere pagato il giusto come avviene per esempio con gli avvocati, i medici. Ma questo in Italia non succede con i giornalisti e con i collaboratori si è diffuso "l'usa e getta". Si tratta di un grave vulnus dell'informazione. Come Ordine finora non abbiamo potuto fare molto, ma con la recente approvazione della Carta di Firenze dovremmo avere uno strumento in più per intervenire. In generale, a chi spetta fare rispettare l'etica nella professione? A parte le regole previste dalla legge, credo che sia soprattutto un discorso di cultura. Come Ordine dei giornalisti, infatti, non è possibile intervenire nella libertà di espressione, visto che bisogna muoversi all'interno di un preciso quadro giuridico. Con la multimedialità i cittadini hanno diverse possibilità di dire la loro e controllare in qualche misura l'etica del giornalista. In ogni caso, credo che la questione abbia a che fare per lo più con la coscienza del singolo individuo, del singolo giornalista. Dal punto di vista dell'etica, quali differenze ci sono tra i diversi mezzi di informazione? Secondo le persone interpellate dal sondaggio, i migliori sono radio e internet. Penso anch'io che ci sia un'informazione buona alla radio, così come nei quotidiani più generalisti. Per quanto riguarda Tv e giornali di settore, invece, trovo che siano più a rischio, anche se non si può generalizzare. Per quanto riguarda internet, mi sembra che sia diventato un grande mito di libertà, ma sappiamo che ci si trova tutto e il contrario di tutto ed è per questo che la mediazione del giornalista è sempre più importante che sia fatta in modo etico. Per lavorare in modo "etico", il giornalista deve pensare solo a produrre un'informazione di qualità, oppure si deve preoccupare delle conseguenze che avrà la pubblicazione di una determinata notizia? Deve preoccuparsene sempre: non ci possiamo dimenticare che siamo dei civil servant, che facciamo un lavoro per la comunità e che quello che diciamo ha un'influenza sull'opinione pubblica. Credo che l'informare sia in un certo senso anche formare, perché il profilo di un Paese emerge anche dall'informazione. E quando dico "formare" non mi riferisco al senso didattico del termine, ma parlo soprattutto del lavoro di mediazione. Un'ultima domanda. Lo scandalo intercettazioni al News of the world ha posto la questione del limite che i giornalisti devono avere nello svolgimento del mestiere: qual è il confine tra diritto di cronaca e diritto alla privacy? I giornalisti inglesi sembravano essersi convinti che il fine potesse giustificare qualunque mezzo. Innanzi tutto non bisogna dimenticare che anche i giornalisti sono obbligati alla tutela della privacy, che non è rispettata solo quando la persona è un personaggio pubblico. La vicenda del News of the world è stata un abuso, una deviazione. Sono convinta che il fine non giustifica mai i mezzi perché viene sempre prima il rispetto della persona. In generale, il limite è quello che deve darsi ognuno in coscienza.


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