"Di fronte all'attività del processo canonico, da una parte si scopre dove, perché e come si è sbagliato nel progetto del matrimonio, dall'altra come si potrebbe affrontare, con coscienza, una nuova unione matrimoniale in modo tale che ciò che si vuole vivere nel futuro vincolo diventi un vero matrimonio come è stato progettato dal Creatore e descritto dai documenti della Chiesa. In questo senso il Tribunale aiuta le persone a specchiarsi e a confrontarsi con la loro visione del matrimonio, quella reale, concreta, vissuta. Quando chiedo alle persone quale è la differenza tra matrimonio celebrato in Chiesa e quello in Comune – ha detto ancora padre Pawlik –, mi rispondono: "il sacramento". Ma quando poi chiedo cosa vuol dire il sacramento, nessuno sa rispondere. Gesù ha elevato il matrimonio alla dignità sacramentale nel momento in cui il suo amore verso la Chiesa si rispecchia negli sposi, nell'atto di donarsi l'uno per l'altro. Ma come giustamente ha ricordato papa Benedetto XVI e successivamente papa Francesco, l'amore non può essere unidirezionale, ha bisogno della reciprocità, della complementarietà. Spesso chi si accosta al matrimonio ha una visione unidirezionale, pensando che farà la crocerossina o il crocerossino. Questa situazione può reggere fino a quando lo scoglio diventerà insuperabile. Il processo mette le persone di fronte a certi criteri che vengono analizzati, approfonditi, spiegati – ha concluso padre Pawlik –, perché ogni situazione è unica e irripetibile. In questo senso il Tribunale aiuta a superare le cause dei mali e a prevenire eventuali nullità. Occorre una maggiore collaborazione di chi lavora nel Tribunale anche nella fase dell'accompagnamento successivo al matrimonio. Come ha scritto il Papa nell'Amoris Leatitia occorre una formazione permanente per assistere e aiutare i coniugi anche dopo le nozze». fonte com RL