Mons. Paolucci Bedini ha ringraziato quanti hanno preso parte, perché, ha commentato, «è vero che i giornalisti si occupano di tante cose, ma non così spesso di se stessi e la possibilità di incontrarsi, di dedicarsi un tempo così prezioso di confronto, anche sulle parole del Papa, mi sembra una cosa da sottolineare». Soffermandosi sul tema dell'incontro, il vescovo delegato Ceu ha fatto un parallelo con la recente dichiarazione del Papa circa il ministero laicale dei catechisti nella Chiesa, parlando del «ministero del giornalista» nel momento in cui viene svolto come servizio alla comunità. Al riguardo ha precisato di «non volere anticipare assolutamente nessuna decisione pontificia» e, tanto meno, di rendere questo ministero-servizio «confessionale», però, ha aggiunto, «mi piacerebbe poter ragionare con voi del servizio del giornalista come un ministero». Questo nel momento in cui l'operatore dei media, ha detto mons. Paolucci Bedini, «è capace di interpretare i sentimenti di una comunità e nel mettersi al servizio di una informazione che la comunità chiede. I giornalisti sono inviati speciali della comunità sociale, territoriale..., perché hanno il privilegio di essere presenti dove io non posso andare. In quel momento il giornalista è i miei occhi, le mie orecchie, il mio cuore...». Inoltre, ha evidenziato il vescovo, «il ministero del giornalista dà all'operatore dei media e agli stessi mezzi della comunicazione sociale anche una profonda responsabilità educativa, perché spesso la modalità con cui i giornalisti entrano nella realtà e la raccontano fa scuola». Alle parole del vescovo hanno fatto eco quelle del presidente dei giornalisti umbri Roberto Conticelli, nel definire l'operatore dei media «il ministro della verità, perché il messaggio del Santo Padre e le riflessioni di mons. Luciano inducono a questo. Noi giornalisti dobbiamo sempre più lavorare la verità dei fatti, altrimenti non svolgeremmo al meglio il ministero che le circostanze ci hanno indotto a svolgere spesso anche in condizioni particolarmente difficili. La verità fa sempre bene e non può fare sconti quando viene raccontata da un buon giornalista, che rispetta tutte le regole deontologiche sulla professione e che attinge a quante più fonti possibili». Il presidente Conticelli, sollecitato da alcuni interventi, si è soffermato sui fenomeni dello sfruttamento del lavoro giornalistico, dei tanti comunicatori social media che non possono essere definiti giornalisti e dei soprusi agli operatori dei media tra cui le cosiddette "querele temerarie". Non ha trascurato l'importanza del «giornalismo di prossimità» nel dare voce soprattutto a quelle realtà territoriali che voce non hanno, perché molto piccole e periferiche dove la Chiesa, attraverso i suoi media, è chiamata a fare la sua parte grazie alla "potenziale rete" delle realtà parrocchiali. Fonte com abstract