Quello che l'apostolo scriveva due millenni fa vale ancora per chi svolge nella Chiesa il compito di Vescovo, vale per ogni pastore, e le sue parole sono per me un motivo di esame di coscienza e di verifica del mio servizio tra voi, che si è ridotto in questi ultimi cinque anni, a causa del compito che mi è stato affidato alla guida della Conferenza Episcopale Italiana. Il Signore sa quanto avrei desiderato dedicare tutto il mio tempo, tutte le mie energie a questa nostra Chiesa. Anche il brano del Vangelo che è stato appena proclamato deve aver ispirato profondamente san Costanzo. È tratto dal discorso d'addio di Gesù, nel Vangelo secondo Giovanni, e vede ricorrere con abbondanza quei termini che riguardano l'amore cristiano: dall'esortazione a "rimanere" nel suo amore (v. 9), fino all'invito finale, quando Gesù comanda ai discepoli di amarsi «gli uni gli altri» (v. 17). Come sono consolanti per noi queste parole! I discepoli del Signore sono amati da Dio, proprio come lo è il Figlio, e da ciò scaturisce l'invito e l'impegno a entrare in quella corrente d'amore che lega il Padre al Figlio, e che da loro giunge fino a tutti noi e da noi deve transitare al mondo. Carissimi, sono certo che il nostro Patrono, affrontando il martirio, prima di essere decapitato, avrà ricordato in particolare quelle parole di Gesù che, nella stessa pagina di Vangelo, esprimono la vetta: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (v. 13). L'amore cristiano, se è autentico, coincide sempre con il dare e comunicare vita. Se già nel discorso della montagna, come si legge nel racconto dell'evangelista Matteo, Gesù aveva esortato i discepoli ad amare i propri nemici, pregando «per quelli che vi perseguitano» (Mt 5,44), ora il Signore, durante la sua ultima cena, parla di un amore che, se possibile, è ancora più grande. Se è difficile in sé dare la vita, quanto è più difficile darla per i nemici! Magari non con il sacrificio cruento, ma amandoli nella quotidianità e pregando per loro. Spendersi generosamente per gli amici e immolarsi per i nemici: è quanto ha fatto il Signore, fornendo il primo modello di buon pastore, quello di cui ha più volte parlato, anche nelle parabole. Il pastore di un gregge, come il Vescovo di una Chiesa, non viene semplicemente chiamato a guidarla. Dice infatti Gesù: «Il buon pastore dà la propria vita per le pecore» (Gv 10,11). Questo donarsi non è offerta di una sola volta, ma si ripete nel tempo, quotidianamente. Il Buon Pastore dà la vita per il suo popolo, per tutto il popolo, perché lo vede e lo considera con occhi di padre e di madre. Devo però riconoscere che, per i miei limiti, non sono riuscito in questi anni ad imitarlo come avrei dovuto. Cari fratelli e sorelle, mosso da questi sentimenti, e avendo conclusa da qualche anno la visita pastorale, ci apprestiamo ora a vivere il cammino sinodale uniti a Papa Francesco e alla Chiesa universale. Siamo in un tempo di nuova seminagione, perché la Parola di Dio porti i suoi frutti, nella vita delle persone, nelle comunità parrocchiali e nella vita sociale. Il tempo che ci separa dal prossimo Giubileo del 2025, sarà caratterizzato da un personale impegno di conversione e, a livello comunitario, di nuova evangelizzazione. Lo Spirito saprà far germogliare quei piccoli semi che gettiamo in terra con fiducia e speranza. Carissimi, con cuore di padre vi affido all'intercessione del vescovo Costanzo, fondatore di questa Chiesa che ho tanto amato e che porterò sempre nel cuore, lasciandovi il messaggio della sua stessa testimonianza. Auguro alla città di Perugia, qui rappresentata dalle maggiori istituzioni, che, finalmente superata, a Dio piacendo, l'attuale crisi pandemica e le sue ricadute sociali, possa proseguire il cammino con una rinnovato vigore, nella concordia e nella prosperità. Amen! Gualtiero card. Bassetti Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve